Fridericus tercius Dei gratia rex Siciliae
Con estrema sincerità devo ammettere che, per lungo tempo, la mia ignoranza sulla Storia vera della Sicilia è stata inferiore, forse, soltanto alla mia voracità! In questo secondo caso, perlomeno, me la sono goduta e me la continuo a godere. Nel primo, invece, credo di avere perduto la possibilità di spendere meglio tanti miei anni.
Ad ogni modo, sono paradossalmente grato ad alcuni sgradevoli episodi degli anni passati, che mi diedero una scossa e mi indussero a prendere posizioni nette e non trattabili.
In questo percorso di curiosa conoscenza e di approfondimento, a due figure sono, più di altre, particolarmente legato e grato: Pippo Scianò e Corrado Mirto.
A Pippo Scianò per la sua enciclopedica conoscenza della Storia della Sicilia, per la capacità di ricerca e di approfondimento mai faziosa e sempre obiettiva, per la profondità di pensiero, per la signorilità e la naturale eleganza dei modi, per l’onestà intellettuale, per il rispetto degli altri e per il suo saperne riconoscere e apprezzare il valore al di là delle posizioni o dei colori, per essere stato ed essere il mio punto di riferimento, la mia stella polare.
A Corrado Mirto, ‘u ziu come lo chiamava affettuosamente il caro Giovanni Basile, per la cultura, la passione politica, l’immensa umanità, la disarmante semplicità che si esaltava nella figura dell’accademico di fama mondiale, per aver trascorso con lui meravigliose serate seduti al tavolino all’aperto di un caffè di Modica, città d’origine della madre dove tornava ogni estate, a goderci magnifiche granite di fichi e mandorle tostate.
E, poi, … per avermi fatto innamorare di Federico III, il mio Re, “un re da leggenda” come lo avrebbe definito, nel 1951, lo storico spagnolo Rafael Olivar Bertrand, alla guida del popolo siciliano in quella che fu la Rivoluzione del Vespro, “una delle epopee più gloriose della storia umana”, nell’epoca “più gloriosa della storia dell’isola”!
La Storia del Regno di Sicilia racconta di 686 variegati anni d’indipendenza dell’isola, … dalla notte di Natale del 1130, con la proclamazione a re di Sicilia di Ruggero II d’Altavilla, figlio di Ruggero I, primo Conte di Sicilia dopo la presenza araba, colui che, nel 1097, aveva convocato per la prima volta, a Mazara del Vallo, quello che sarebbe divenuto uno dei più antichi parlamenti al mondo, insieme a quelli islandese e faroese, … all’8 dicembre del 1816, con la forzata annessione del glorioso Regno di Sicilia al fantasioso Regno delle Due Sicilie che vi mise sopra, di fatto, una triste pietra tombale, resa ancora più pesante e inamovibile con l’emanazione del regio decreto numero 4499 del 17 dicembre 1860, di annessione al regno d’Italia.
Indissolubilmente legati alla Rivoluzione del Vespro sono la vita e il regno di Federico III, colui che, per dirlo con le parole del professore Mirto, «guidò vittoriosamente la resistenza del piccolo popolo siciliano contro una grande coalizione europea e durante il suo regno fece il “miracolo”, in un paese dove è tradizionale una cupa, sorda ostilità contro il potere centrale, di rendere il suo governo popolare tra i Siciliani»!
Nato a Barcellona il 13 dicembre del 1273, figlio di Pietro III il Grande, re d’Aragona, e dalla sicilianissima Costanza II di Sicilia, figlia di Manfredi re di Sicilia, dall’età di nove anni visse in Sicilia.
Il 15 gennaio del 1296, il Parlamento siciliano, riunito al Castello Ursino di Catania, lo nominò re “Fridericus tercius Dei gratia rex Siciliae”, in sostituzione del fratello Giacomo II d’Aragona, di Valencia e Conte di Barcellona, reo di aver sottoscritto il trattato di pace di Anagni, voluto da papa Bonifacio VIII, che prevedeva la ritirata degli aragonesi e la cessione della Sicilia agli Angiò.
Il successivo 25 marzo, Federico III venne formalmente incoronato nella cattedrale di Palermo, nell’entusiasmo popolare.
In un tempo in cui si diveniva sovrani per diritto divino, già l’insolita decadenza di un re e l’ascesa di un nuovo sovrano per espresso volere del popolo rappresentò qualcosa di eccezionale.
Egli si sarebbe dovuto chiamare Federico II, ma optò per il numerale III in omaggio al bisnonno Federico II di Svevia, stupor mundi, Imperatore del Sacro Romano Impero con questo nome e re di Sicilia come Federico I.
Chi, tra gli storici, ha inteso minimizzarne la portata, ha fatto prevalere il nome Federico II, eventualmente d’Aragona, creando confusione col più famoso bisnonno e disperdendo, o almeno diluendo, in questo modo, l’effettiva portata della sua figura.
Nel suo pamphlet Federico III di Sicilia: un grande sovrano per un grande popolo, il professore Mirto amaramente rifletteva:
«Quando si vuole ridurre un popolo allo stato coloniale gli si toglie la cultura, la lingua e la storia, in maniera che i “colonizzati” finiscano con l’identificarsi con la cultura, la lingua e la storia del paese dominante. E così i Siciliani si sono convinti del fatto che non hanno una loro cultura, che la loro lingua è un rozzo dialetto (nel secolo XIV e XV invece la Real Cancelleria emanava in lingua siciliana documenti firmati dal sovrano), che non hanno una loro storia. Infatti parte della storia siciliana è stata fatta scomparire e, quella che è rimasta, viene presentata come un susseguirsi di dominazioni straniere che vedono i Siciliani oggetto inerte della storia»!
Federico riprese la guerra del Vespro, che vedeva il piccolo Regno di Sicilia difendersi da angioini di Napoli, guelfi italiani, regno di Francia, regno d’Aragona, papato di Bonifacio VIII.
Perduti i sensi per il caldo eccezionale, nella drammatica battaglia navale di Capo d’Orlando del 4 luglio 1299, fu accolto e difeso dall’intera popolazione di Messina. Il caro Giovanni Basile, che nella mia ignoranza continuo ad annoverare tra i più grandi poeti contemporanei in Lingua Siciliana, volle dedicare a questa pagina di storia l’ode ‘A Battagghia Navali Di Capu D’Orlannu:
Lu mari di Capu d’Orlànnu
ancòra lu cunta, di quannu
addivintàu russu di sangu.
Era l’arba d’u Quattru Lugliu
Milliduicentunovantanovi
e ‘u suli abbruciàva lu ciàtu.
A ‘ddà banna, ‘i Ragunìsi
c’u re Giacomu secunnu
e l’ammiràgghiu Ruggeru Lauria.
A ‘ccà banna, ‘i curaggiùsi
surdati e marinari Siciliani,
c’addifinnèvanu ‘a Nazziùni nostra.
Li cumannàva Fidirìcu terzu,
amatissimu Re di Sicilia
e surdàtu forti e valurùsu.
Li navi nimìci èranu cchiù assa’,
ma li Sicilianu cummattèru
comu liùna, c’u sangu all’occhi.
Doppu sei uri di battagghiàri,
Fidiricu, pi’ lu càudu, assintumàu,
e fu purtatu ‘n salvu a Missina.
Arriddùtti troppu picca, e senza lu Re,
li valurùsi surdàti Siciliani
nun s’arrinnèru, e foru stirminàti.
Ah! Chi jornu fu chiddu!
Tutt’u munnu vitti, ‘n’àutra vota,
‘u valùri e ‘u curàggiu d’i Siciliani.
E doppu setticèntu anni, e pi’ sempri,
nuàutri ricurdàmu ‘ddi granni Eroi
di l’Indipinnènza Siciliana!
Successivamente allo sbarco dell’esercito invasore e alla caduta di Catania, nel mese di ottobre, la battaglia decisiva fu combattuta nella piana di Falconaria, tra Trapani e Marsala, il primo di dicembre del 1299.
Con la pace di Caltabellotta, stipulata il 31 agosto del 1302, si concluse, di fatto, la prima fase dei Vespri siciliani.
Prescindendo dall’aspetto formale della denominazione, l’accordo sanciva, in particolare, il diritto di Federico III a essere re assoluto e indipendente del Regno di Trinacria, costituito dalla Sicilia e dalle sue isole minori.
Dotato di grande carisma, fu abile condottiero e buon legislatore. Promulgò testi assolutamente innovativi per il medioevo, con garanzie costituzionali che andavano dal rispetto di ben precisi doveri da parte dei reggenti, all’obbligo di convocare il Parlamento siciliano almeno una volta all’anno nel giorno di Tutti i Santi, alla tutela dei beni dei condannati. Non vanno dimenticate, tuttavia, neppure le tristi norme, emanate nel 1324 dal Parlamento riunito a Enna, che prevedevano la segregazione degli Ebrei.
Perennemente scomunicato, accolse alla sua corte i francescani spirituali, perseguitati a partire dal Concilio di Vienne del 1311-1312 e, soprattutto, con l’ascesa al soglio pontificio di papa Giovanni XXII, nel 1316, e il ritorno del grande inquisitore Bernardo Gui!
Come ricorda il professore Mirto ne Il regno dell’isola di Sicilia e delle isole adiacenti. Vol. 1: Dalla nascita (1282) alla peste del 1347-1348 (EDAS Editori, 1996):
«… l’elezione di Federico era la sfida di un piccolo popolo deciso a difendere la propria libertà contro le viltà e gli egoismi di una grande coalizione europea che aveva deciso di sacrificarlo sull’altare dei suoi interessi e della sua pace … Con l’elezione di Federico III i Siciliani ebbero un re nazionale, un regno dunque indipendente e non una colonia aragonese e, primi in Europa, una monarchia costituzionale, nella quale i diritti del sovrano erano limitati non soltanto dalla nobiltà, ma anche dai rappresentanti delle città, e alla base della quale vi era un patto stretto fra il re e il popolo»
(tratto da: Angelo Severino, Federico Terzo è l’unico grande Re dei Siciliani, da L’Ora Siciliana del 24 maggio 2018)
Nel mese di maggio del 1337, all’età di 64 partì, Federico III lasciò Palermo per raggiungere Enna, dove contava di passare l’estate. Ma durante il viaggio si ammalò gravemente.
Consapevole delle sue condizioni e temendo che le sue spoglie potessero essere trasferite in terra d’Aragona, chiese di essere condotto presso le reliquie di Sant’Agata, a Catania, cui era particolarmente devoto. Messo su una lettiga, fu portato a spalla, a mo’ di staffetta, dagli abitanti in lacrime delle contrade attraversate.
Morì nel convento dei Cavalieri di San Giovanni, tra Paternò e Catania il 25 giugno del 1337, dopo oltre quarantun anni di regno.
La salma fu composta nel castello Ursino, dove ricevette l’ultimo saluto del suo popolo, e sepolta nel duomo della città.
Così uno dei figli divulgò ai Siciliani la notizia della sua morte:
«Non è più tra i vivi il glorioso principe che per tanti anni vi ha difeso dagli assalti ostili; che ha fatto sì che non si diventasse schiavi dell’antico nemico. Egli era per voi un padre, un fratello, un figliuolo»
Nel tempo, però, pare che anche del luogo della sua sepoltura sarebbe andata persa la memoria!
Il professore Mirto, al riguardo, mi raccontò un aneddoto che dà anch’esso la misura della perdita e della cancellazione della memoria e della verità storica, di cui il popolo siciliano per primo è stato vittima, più o meno inconsapevole, negli ultimi 160 anni.
Riunitosi, a Palermo, il Senato accademico per l’approvazione di alcuni progetti di ricerca, egli propose che venisse ricercata, a Catania, la tomba di re Federico III.
Con professori di matematica o di fisica che non capivano di cosa si parlasse, pare che persino alcuni colleghi di Storia abbiano avuto a esclamare … «forse … vuoi dire Federico II?», riferendosi al bisnonno imperatore, il cui sarcofago è ospitato nella cattedrale di Palermo!
«No, … dico proprio Federico III, re di Sicilia!» … la risposta del professore Mirto!
Dopo una dibattuta esposizione della questione, aver fornito i necessari chiarimenti ai confusi interlocutori e pur permanendo, in qualcheduno, tutta una serie di remore, il Senato accademico approvò il progetto!
Credo che questa fosse una delle cose di cui il professore Mirto andasse più fiero, nella sua lunga attività accademica: l’aver riportato alla luce da sotto uno spesso strato di stucchi, con la sua meticolosità e la sua pazienza, … alla luce della memoria innanzitutto, prima la figura, poi anche la tomba di … “un re da leggenda”!
Re Federico III riposa oggi all’interno della Cappella della Vergine, in fondo alla navata destra del Duomo di Sant’Agata a Catania, sulla destra, in un sarcofago di tipo sidamara in cui sono custoditi anche i resti mortali di altri reali della dinastia aragonese.
Riprendo da “L’incresciosa situazione della tomba di Federico III nella Cattedrale di Catania”, in Riflessioni e pensieri indipendentisti … in libertà di Corrado Mirto e Giuseppe Scianò, pagg. 38-39, Palermo, ottobre 2007, una vicenda del 2002 sviluppatasi sugli organi di stampa, triste ed emblematica allo stesso tempo, relativa alle lamentele di un visitatore per aver trovato chiusa e immersa nel buio la cappella stessa.
La risposta dei responsabili della Cattedrale di Catania “chiariva” che la cappella era visitabile solo al mattino, ma con il vincolo del silenzio e il divieto assoluto di scattarvi foto, essendovi lì esposto il Santissimo Sacramento. Inoltre, vi si affermava che si era pensato di spostare il sarcofago in altro luogo più facilmente accessibile, ma che il progetto era stato abbandonato per timore di mettere a rischio la stabilità strutturale di una volta sottostante!
Nella disputa intervenne anche il professore Mirto, coi suoi modi garbati ma fermi:
«Siccome Federico III fu uno dei più grandi re di Sicilia e tra il 1200 ed il 1300 guidò vittoriosamente la resistenza dei Siciliani contro l’aggressione di una coalizione che comprendeva mezza Europa (Regno angioino di Napoli, guelfi italiani, Papato, Regno di Francia, Regno d’Aragona), siccome fu un re molto amato dai Siciliani e fece moltissimo per la Sicilia, siccome io sono Siciliano e mi dà fastidio il fatto che “i nostri amici” piemontesi dopo il 1860 lo abbiano fatto scomparire, sono intervenuto nella mischia facendo notare al Giornale di Sicilia che, non solo il signor Merlino aveva detto cose esatte, ma che nelle due tombe non c’è nemmeno una targhetta per ricordare che in una tomba è sepolto “Federico III re di Sicilia (1296-1337)” e nell’altra “Costanza, moglie di Federico IV, regina di Sicilia (1361-1363)”. (Per le due iscrizioni le date indicano gli anni di regno). Ed ho anche garantito che le due targhette non metterebbero “a rischio di crollo tutto il settore”.
La risposta scoraggiante dei responsabili della Cattedrale, apparsa nel Giornale di Sicilia dell’8 luglio 2002, è stata che, poiché sono ammesse solo visite guidate ed i visitatori sono pochi, le targhe non sono necessarie. (Pare, allora, che ora anche di mattina i visitatori non prenotati vengano cacciati con ignominia).
A questo punto dovremmo rassegnarci al Fato immutabile.»
Con quella che era la sua inimitabile e garbata ironia, il professore continuava:
«Ma siccome nel Vangelo è scritto: “Chiedete e vi sarà dato”; siccome il mettere il nome del defunto in una tomba non è cosa contraria ai principi cristiani, io continuo ad insistere, fiducioso nel fatto che alla fine le targhette verranno messe, se non per amore verso i defunti, almeno per porre fine alle fastidiose insistenze.»
E così concludeva:
«Due ultime richieste vorrei fare ai responsabili della Cattedrale. La prima è: Non si potrebbe mettere vicino alle due tombe qualche lampada per illuminare “la sotterranea notte”?
La seconda è: se mettete le targhette, per favore, non scrivete: Federico II l’Aragonese, perché il defunto si chiamava Federico III ed era “Siciliano”.»!
A N T U D U !
(alla siciliana, come mi hanno insegnato Pippo Scianò e Corrado Mirto, con la U finale al posto della O, espressione formalmente inesatta ma più vera e vicina al modo di esprimersi di un popolo fiero nei secoli, ma forse un po’ digiuno di Latino!)