E Dio chiese allo spirito felino:
«Sei pronto a tornare a casa?»
«Si, proprio così», rispose la preziosa anima,
«e, in quanto gatto, sai che sono capace
di prendere decisioni da solo.»
«Dunque, ritorni?» chiese Dio.
«Subito», rispose l’angelo con i baffi,
«ma devo farlo lentamente
perché i miei amici umani sono in difficoltà.
Essi, capisci, hanno sicuramente bisogno di me.»
«Ma non lo capiscono», chiese Dio,
«che non li lascerai mai?
Che le vostre anime sono unite per l’eternità?
Che nulla è creato o distrutto?
È solo … per sempre.»
«Alla fine lo capiranno»,
rispose il gatto glorioso,
«perché sussurrerò ai loro cuori
che io sarò sempre con loro
io sono solo … per sempre.»
(dal web, autore sconosciuto)
Il 24 maggio del 2018 se ne andava Gionni (scritto proprio così!), la mia gatta, che ci fece splendida compagnia per oltre diciotto anni. Di lei scrissi in passato, a mio modo per renderla immortale, Gionni non si chiama Johnny e Il sorriso di Gionni.
Dopo una cinquantina d’anni passati con code scodinzolanti tra le gambe, il primo pensiero, la prima affermazione, entrambe irremovibili, furono … mai più animali in casa!
Di lì a un paio di mesi, forse tre, passando davanti l’ingresso di casa per controllare la cassetta della posta, un cucciolo di gatto europeo, non avrà avuto più di quattro, sei mesi, magrissimo e dal pelo malmesso, si aggirava sul marciapiede con andatura dinoccolata.
Ovviamente … mai più animali in casa! Tirai dritto, quindi, entrando in cortile, parcheggiando ed entrando in casa, indifferente. Con la stessa indifferenza che, poco dopo, avrebbe mostrato, imperterrita, mia moglie Katiuscia, vedendolo aggirarsi nel cortile condominiale.
Quello stesso giorno, più tardi, lo vedemmo ancora andare avanti e indietro per il cortile, stavolta sbraitando dalla fame e guardando disperato verso ogni casa. Mai più animali in casa, certo, … ma come si fa a rimanere indifferenti davanti alla disperazione di un esserino che ti guarda implorante con occhi grandi e impauriti, forse perduto dalla madre o abbandonato da qualcuno?
Avevamo ancora croccantini e bustine di cibo umido. Rigorosamente davanti al cancello, gli demmo da mangiare. Osservammo così un esserino piccolo, malmesso e malnutrito, con gli occhi di fuori, la punta della coda come schiacciata e una macchiolina a forma di cuore sulla punta del naso, dovuta forse ad acido, a olio, a grasso o chissà che altro e beccato chissà dove, macchiolina che, di tanto in tanto, gli si sarebbe spesso riaccesa, … osservammo quest’esserino divorare due, tre bustine di bocconcini e non so quanti croccantini ringhiando, lui così piccolo, agli altri gatti del cortile che osavano avvicinarsi, attratti dal cibo.
Il giorno dopo lo ritrovammo davanti al nostro infisso, in attesa di altro cibo! Si era aggrappato a noi, eravamo l’unica sua speranza di sopravvivenza.
Gli demmo nuovamente da mangiare, sul balcone esterno stavolta, rendendoci appieno conto di quanto fosse magro e malridotto.
Il passaggio successivo, visto che non se ne andava più, … un vecchio trasportino con un asciugamano all’interno, a mo’ di cuccia, in un angolo del balcone, sempre fuori però, … mai più animali in casa!
Al massimo, di giorno, ogni tanto, una cuccetta di stoffa tra vetro e persiana, giusto per ripararsi un po’ e godere di un minimo di agio. Aveva deciso di non andarsene più!
La “temuta” svolta si ebbe in occasione di un violento temporale notturno con fulmini, tuoni e acqua come se non ci fosse un domani. Lo trovammo rintanato in fondo al trasportino, tra i suoi stessi escrementi, più impaurito e indifeso che mai.
E fu così che cambiarono le regole: di notte poteva restare in cucina, nella cuccetta, ma solo di notte. Il resto della casa, invece, doveva essere un tabù, mai più gatti coricati sotto le lenzuola o liberi di muoversi dentro. Ecco, in effetti questa fu l’unica regola che rimase nel tempo, il “solo di notte” durò invece ben poco!
Ma tanto gli bastava! Si era aggrappato a noi, dicevo, eravamo stati la sua ancora di salvezza, la sua unica speranza di sopravvivenza. Non provò mai a salire in braccio, non ne aveva di bisogno, gli bastava la sua cuccetta, quel po’ di affetto che riceveva e quella sensazione di essere entrato nel cuore e nelle attenzioni di qualcuno. E, con lo stesso umile atteggiamento, mai fu pretenzioso: quando aveva fame o anche solo voglia di cibo, si avvicinava al mobiletto che faceva da sua dispensa, si accostava alla scatoletta, piuttosto che alla bustina o ai croccantini che, in quel momento, gli aggradava, per poi sedersi davanti alla sua ciotola, silenzioso, in attesa di un’anima pia che lo accontentasse. Altrimenti niente, se ne andava, magari deluso, ma senza proferire miagolio!
Pian piano si riprese, mise peso, la coda guarì e i suoi occhioni non sembravano più così tanto di fuori, sebbene lo sguardo triste, quasi impaurito, rimase il suo, di sguardo.
Dovemmo quindi scegliergli un nome e non fu difficile trovarlo: Tello, da trovatello, ci apparve da subito il suo, perfetto, calzante!
Ma era, comunque, un gatto di strada e tale, per molti aspetti, rimase.
Al mattino, dopo la colazione, … subito fuori, in giro per il cortile, per le strade del vicinato, o rintanato chissà dove. In estate, poi, per un paio di mesi almeno scompariva, non faceva rientro la notte, passava solo per mangiare qualcosina, per bere, per appropriarsi di qualche carezza o per sdraiarsi al sole calante insieme a noi, il tardo pomeriggio.
Nel tempo, al mattino o al pomeriggio, apprezzò anche la libertà di spaparanzarsi sulla poltrona, davanti al camino o addirittura sul letto della cara vicina Pina, che lo accudiva anche in caso di nostra temporanea assenza.
Nelle sue uscite e nel suo gironzolare non era insolito che litigasse con altri gatti, questi davvero di strada, ben più grossi e aggressivi di lui, rimasto piccolino, minuto.
Ce lo vedevamo ritornare azzoppato, ferito e gonfio per infezioni, umiliato!
E poi difficoltà respiratorie, stomatiti, infezioni agli occhi, … di tutto, ha avuto davvero di tutto …
Ma da noi, da Katiuscia e da me, si faceva medicare quieto, si faceva somministrare antibiotici, sciroppi o che altro. E se il veterinario, per quanto sgradito, si presentava a casa per visitarlo, la cosa importante e sufficiente era che ci fossimo noi accanto!
A proposito di fame, tanta doveva averne patito che, per un certo periodo, prese l’abitudine, la sera, di rovistare nei mastelli di una vicina pizzeria, trascinandosi fino a casa brandelli di pizza più grandi di lui, da nascondere dietro i recipienti dell’acqua, … non si sa mai!
A seguito di uno di questi blitz, uno degli ultimi se non l’ultimo, tornò con la lingua tagliata, avvilito e incapace di mangiare. Anche in questa occasione, con infinita pazienza, Katiuscia riuscì pian pianino a curarlo e guarirlo. Capimmo poi che doveva aver litigato con una scatoletta di tonno trovata in uno dei mastelli, allontanandosene impaurito non appena noi ne aprivamo una!
La sera attendeva il nostro rientro, in cortile o su una cassapanca per i mastelli dell’immondizia. Ci veniva incontro, qualche carezza e poi a terra a pancia all’aria, era il momento della lotta con la mia mano!
Ma le lotte epiche avvenivano in cucina dove ci confrontavamo nel Catjitsu, variante del Jujitsu da me praticato in passato, per tatami il tappetino davanti al lavello! Gli involontari graffi, i dentini aguzzi, il sangue lungo la mano e io che sbraito «con te non ci gioco più, sei un villano», ben sapendo di non pensarlo davvero e che l’indomani sarebbe stato punto e a capo!
Nell’ultimo periodo Tello non è stato bene, anzi … è stato malissimo. La solita stomatite, stavolta in forma grave, letargia, inappetenza innanzitutto. Nel corso della giornata, poi, si accovacciava per ore, immobile e sofferente, nell’orticello dietro casa o vicino alla ciotola dell’acqua, sul balcone.
Subito dopo l’Epifania, abbiamo deciso di farlo visitare presso una clinica veterinaria vicino casa e alla quale, ahimè, non avevamo purtroppo pensato di rivolgerci prima.
Accanto alla stomatite, le analisi hanno evidenziato positività alla FeLV, il virus della leucemia felina, e alla FIV, il virus dell’immunodeficienza felina, l’AIDS del gatto, non trasmissibile all’uomo. Malattie entrambe dovute ai morsi di altri gatti!
Il medico, un veterinario bergamasco che rimpiangiamo non aver conosciuto prima, ci ha innanzitutto prospettato la necessità, come extrema ratio, di rimuovere tutti i denti per debellare i problemi alla bocca. Avrebbe continuato a nutrirsi e a vivere serenamente.
Ma la cosa più grave è stato il successivo riscontro di una insufficienza renale cronica, con valori di creatinina intorno a 17 mg/dL, oltre dieci volte i valori normali.
Tello è rimasto ricoverato per quattro giorni, prima di tornare a casa nel fine settimana. Ha sopportato fleboclisi e ipodermoclisi e, nei primi giorni, è sembrato reagisse davvero bene alle cure, con ritrovata appetenza, scomparsa di cattivi odori, pelo pulito, occhi vivi e … voglia di vivere!
Non è durata, però!
Le condizioni sono nuovamente peggiorate e la mattina del 20 gennaio, dopo quattordici giorni di tentativi e vane speranze, seguendo il parere del veterinario che lo ha preso in cura e a cuore e col conforto di Katiuscia al telefono, ho dovuto prendere la più triste delle decisioni!
Mi dicono che l’eutanasia, in questi casi, sia l’estremo atto d’amore e di compassione verso il proprio amico a quattro zampe, per evitargli sofferenze ben maggiori. Sarà, è sicuramente così, ma io, al momento, vivo la mia decisione come un tradimento nei confronti di chi, di me, si fidava ciecamente.
Ho avuto tanti gatti, alcuni longevi, e di ognuno serbo ricordi meravigliosi.
Tello ha vissuto solo sette anni, ma il rapporto con questo esserino è stato assolutamente intenso e profondo, … il suo essere così indifeso, impaurito, … gli occhioni quasi imploranti, … il sentire come un’umiliazione il rimprovero o un richiamo, …l’aver vissuto l’abbandono, la fame, la solitudine, … l’essersi aggrappato, ciecamente e incondizionatamente affidato a noi, … l’essere stato il nostro primo pensiero, al mattino, e l’ultimo, la sera, … Mi manca, Tellino!
La leggenda del Ponte dell’Arcobaleno!
A mia moglie Katiuscia, che vuole punirsi con sensi di colpa che non hanno motivo di sussistere, voglio dedicare la rivisitazione della lettera d’addio di un anonimo gatto ai suoi umani, scovata in rete e di autore sconosciuto, all’origine forse portoghese:
Umano, vedo che piangi perché è giunto per me il momento di partire. Non piangere, per favore, voglio dirti alcune cose.
Tu sei triste perché me ne sono andato, ma io invece sono felice perché ti ho incontrato.
Quanti come me ogni giorno muoiono senza aver incontrato qualcuno di speciale?
Tanti animali passano così tanto tempo da soli, senza mai conoscere qualcuno. Conosciamo il freddo, la sete, il pericolo e la fame; dobbiamo preoccuparsi di come trovare qualcosa da mangiare e dove ripararci la notte.
Vediamo tutti i giorni volti che passano senza nemmeno guardarci.
A volte abbiamo la fortuna che passi un angelo e ci raccolga.
Sceglie una parola che pronuncia ogni volta che ci vede, un nome, e allora vuol dire che siamo diventati speciali, abbiamo smesso di essere anonimi. Capiamo che quella è casa!
Non dovremo più avere paura, freddo, fame, non ci interesserà più se piove, … non siamo più soli!
So che ti rattrista la mia partenza, ma devo andare ora.
Non biasimare te stesso, ti ho sentito dire che avresti potuto fare di più per me.
Non dirlo, hai fatto molto per me! Senza di te non avrei potuto conoscere tutta la bellezza che adesso porto con me.
Noi animali viviamo il presente, godiamo delle piccole cose di tutti i giorni e dimentichiamo il passato se ci sentiamo amati. Le nostre vite cominciano quando conosciamo l’amore, lo stesso amore che tu mi hai donato, il mio angelo senza ali ma con due gambe!
E se trovi un animale gravemente ferito e a cui resta poco tempo da vivere, stagli accanto, accompagnalo nel momento di andare.
Ma ora non piangere, per favore.
Io sarò felice, ricordo il nome che mi hai dato, il calore della tua casa che è diventata anche la mia, il suono della tua voce quando mi parlavi e lo porterò nel cuore, insieme a ogni carezza che mi hai dato!
Tutto quello che hai fatto è stato importante per me, te ne ringrazio profondamente.
Prima di andare ti chiedo due favori: lavati il viso e comincia a sorridere!
Ricordati che è stato bello passare insieme ogni attimo. Rivivi con me tutto il bene che abbiamo condiviso e non dirmi che non adotterai un altro animale, solo perché hai sofferto troppo per la mia partenza. Non farlo, … sono in tanti che, come me, stanno aspettando qualcuno come te!
Dai anche a loro quello che hai dato a me, ne hanno bisogno, come io avevo bisogno di te.
Non conservare l’amore che puoi donare per paura di soffrire.
Tu sei un angelo per noi animali, senza persone come te la nostra vita sarebbe ancora più difficile di quanto, a volte, già non sia.
Persegui il tuo nobile compito, adesso sarò io il tuo angelo, ti accompagnerò nel tuo cammino e ti aiuterò ad aiutare gli altri, come hai fatto con me.
Il mio primo compito sarà quello di aiutarti a essere meno triste. Stasera, quando guarderai il cielo e vedrai una stella lampeggiare, quella stella sarò io che ti avviso che sto bene e che ti ringrazio per tutto l’amore che mi hai donato.
Ora vado, non dicendoti “addio”, ma “a presto”.
C’è un cielo speciale per persone come te, lo stesso cielo dove siamo noi e la vita ci ricompenserà facendoci ritrovare.
Io sarò lì che ti aspetto!