Una decina di chilometri a sud-est di Siracusa, in una piccola ma profonda insenatura naturale con la Punta del Gigante a un’estremità, sulla costa di levante della penisola della Maddalena, si affaccia ‘a Rutta r’a Pillirina, la Grotta della Pellegrina, che ci narra del leggendario amore che rese drammatica la breve vita di una bellissima ragazza del luogo, conosciuta come ‘a Pillirina per l’appunto.
Promessa in sposa a un uomo molto ricco, un giorno ‘a Pillirina incontrò un giovane e umile pescatore, di cui si innamorò perdutamente.
Entrambi consapevoli che il loro reciproco sentimento sarebbe stato mal visto e ostacolato anzi dalla famiglia di lei, si promisero che si sarebbero incontrati segretamente dopo il tramonto, nei giorni di luna piena, all’interno di una grotta ai margini del Plemmirio, l’area anticamente scelta dai greci come base per i rifornimenti via mare e per il deposito delle derrate di grano, in seguito parzialmente riconquistata dallo spartano Gilippo, intervenuto in difesa dei siracusani, nella prima battaglia navale di Siracusa del 413 a.C., così raccontata da Tucidide nel libro VII de La Guerra del Peloponneso:
22. Gilippo, quando la flotta fu in pieno assetto, fece uscire al cader della notte tutte le divisioni di fanteria, muovendo per conto proprio all’assalto via terra dei capisaldi attestati sul Plemmirio. Ad un segnale simultaneo, tutte le unità navali siracusane manovrarono di conserva trenta triremi per una sortita dal porto grande, le altre quarantacinque iniziando a doppiare dalla rada piccola, in cui giaceva anche il loro arsenale, con il proposito di unirsi alla squadra interna in un’offensiva generale contro le installazioni del Plemmirio, sconvolgendo gli Ateniesi con un attacco su un duplice fronte, terrestre e marino. A loro volta, gli Ateniesi allestirono rapidamente sessanta unità, fronteggiando con venticinque triremi la squadra di trentacinque siracusane dislocate nel porto grande, e decidendo di sbarrare con il resto la corsa al gruppo in arrivo dall’arsenale. Si intercettarono direttamente all’ingresso del porto grande e il combattimento divampò: nelle linee opposte si resistette a lungo, gli uni cercando di forzare l’imbocco, gli altri di ostruirlo.
23. Gilippo colse il momento in cui i presidi ateniesi del Plemmirio, calati verso la riva, erano tutti assorti alle vicende alterne dello scontro navale, e li anticipò all’aurora piombando di sorpresa sui forti. Anzitutto invade il principale, poi i due secondari: nulla la resistenza delle scolte vedendo incontrastata la presa del forte principale. Tra i componenti la guarnigione del forte conquistato per primo, quanti cercarono scampo sui mercantili e a bordo di un legno da carico non la passarono liscia nel tragitto verso il campo. Poiché i Siracusani, che stavano dominando lo scontro con le navi nel porto grande, distaccarono una trireme sola, di ottimo corso, per dar loro la caccia. Invece durante la successiva resa dei due fortini, i Siracusani della flotta stavano ormai cedendo, soverchiati, e le guardie di quelle due postazioni ebbero più comoda la fuga, costeggiando. La squadra navale siracusana impegnata alla bocca del porto, con lo sfondamento delle linee ateniesi, effettuavano l’ingresso, ma in generale disordine. Sicché ostacolandosi da se stesse le navi siracusane consegnarono la vittoria agli Ateniesi, lesti nel travolgere queste ultime e le prime, da cui subivano svantaggio durante la fase precedente disputata all’interno del porto. Colarono a picco undici unità siracusane, sterminando buona parte degli equipaggi, salvo quelli di tre vascelli, catturati in vita. Delle proprie persero per affondamento tre triremi. Ricuperarono a riva i relitti dei legni siracusani ed eretto nell’isolotto contiguo al Plemmirio un trofeo, rientrarono nei propri alloggiamenti.
24. Per i Siracusani fu questo il risultato del confronto sul mare: ma s’erano impadroniti dei tre forti sul Plemmirio, per i quali elevarono anch’essi tre trofei. Più tardi atterrarono uno dei due bastioni conquistati, mentre gli altri due, dopo i lavori di riparazione, servivano da presidio. Durante l’attacco ai forti numerose furono le vittime e molti i prigionieri: in complesso il bottino raggiunse una somma cospicua. I forti servivano in pratica da depositi agli Ateniesi: sicché giacevano derrate di grano e forti quantitativi di merci, proprietà in parte dei trafficanti, non escluso qualche trierarca. Furono requisite inoltre le velature di quaranta triremi con i diversi attrezzi, e tre scafi tratti in secco. Ma il danno più grave, che colpiva in punti vitali il contingente di spedizione ateniese risultò la perdita del Plemmirio. Ora neppure i punti di sbarco per l’afflusso dei viveri erano più garantiti (i Siracusani, presidiando i dintorni con una squadra tagliavano le vettovaglie e ormai si poteva importare solo battendosi). In generale, per il proseguimento del conflitto, l’infortunio sorprese e fiaccò l’armata.
(Tucidide, La Guerra del Peloponneso, libro VII, 22-24)
Una notte, però, forse per il mare in tempesta, il giovane pescatore non riuscì a rientrare dalla battuta di pesca.
In compagnia soltanto della flebile luce della Luna, ‘a Pillirina rimase comunque nella grotta ad attenderlo. Invano!
Convintasi che fosse venuto meno alla promessa che si erano scambiati e incapace di reggere anche al solo pensiero di non rivederlo mai più, decise allora di togliersi la vita gettandosi in mare, nel disperato tentativo di ricongiungersi a colui che tanto amava.
La leggenda narra che da allora, nelle notti di plenilunio, i pescatori al largo riescano a intravedere, all’interno della grotta appena illuminata dalla Luna, la sagoma di una donna, seduta in attesa!