Quando ero studente di scuola media, ahimè oltre quarant’anni fa, ero affascinato, come credo tutti del resto, dall’avventurosa ed eroica spedizione dei Mille, un manipolo di grandi uomini guidati dal fantastico eroe dei due mondi che riuscirono a liberarci e a realizzare l’unità d’Italia!
Il libro di testo affermava altresì che non era ben chiaro se fossero 1086 o 1087, o qualcosa del genere. Il tentativo goffo e ridicolo di attribuire un alone numerico di realtà a una delle più grandi barzellette della storia, … peccato che ci abbia fatto ridere ben poco!
Nella realtà, il 1860 vide la piena realizzazione di un progetto politico voluto e portato avanti dalla grande potenza dell’epoca, l’Inghilterra, che, nella persona del suo primo ministro Henry John Temple, Lord Palmerston, era assolutamente contraria a ogni ipotesi di indipendenza della Sicilia (ed era già stato chiaro in occasione della Rivoluzione del 1848), auspicando invece la nascita di un unico stato italiano che si estendesse dalle Alpi al Mediterraneo e che fosse in grado di contrastare le mire espansionistiche della Francia nel Mediterraneo stesso.
Ha così inizio il teatrino di una rivoluzione antiborbonica e filoitaliana in Sicilia, dove gli inglesi avevano grandissimi interessi economici, che comprendevano anche la produzione del vino liquoroso Marsala, ma che riguardavano soprattutto le miniere di zolfo, il petrolio dell’epoca.
E proprio Marsala, in cui maggiore era la presenza di cittadini inglesi, fu la meta prescelta per lo sbarco dei magnifici Mille, guidati dal biondo eroe in groppa a un bianco destriero! Biondo eroe in groppa a un bianco destriero che, in realtà, era un massone già dal 1844 e che pare, … si dice …, … forse …, … lo studioso inglese Philip Cowie è contrario all’idea ma non è mai stato ben chiarito se …, abbia trafficato con carichi di schiavi cinesi tra Canton e Lima, intorno al 1852, a bordo della nave Carmen dell’armatore Pedro De Negri.
La spedizione dei fantastici Mille, dunque.
La sceneggiatura prevedeva che il nostro manipolo di prodi desse sostegno a una fantomatica rivoluzione antiborbonica in Sicilia.
I piroscafi Piemonte e Lombardo, dunque, salparono da Quarto, fecero tappa a Talamone, nel grossetano, per rifornirsi di acqua e armi, ripresero la navigazione in direzione della Sicilia, prudentemente guardati a distanza e con discrezione, su indicazione degli stessi inglesi, da alcune navi della flotta militare piemontese, nel finto inseguimento dei finti ladri dei due piroscafi e al solo scopo di proteggerli da eventuali attacchi della flotta duosiciliana. Pare che lo stesso Camillo Benso conte di Cavour, capo del governo, abbia sollecitato l’ammiraglio Persano, scrivendogli qualcosa del tipo «Vegga di navigare tra Garibaldi e gli incrociatori napolitani. Spero m’abbia capito».
Ad ogni buon conto, alcune navi da guerra britanniche seguirono comunque la scena, fino alle acque siciliane, dove la scorta sarebbe stata garantita da altre navi di Sua Maestà.
L’arrivo a Marsala!
Qui, il biondo eroe trovò ad attenderlo, con sua grande sorpresa, soltanto alcuni esponenti della comunità inglese, tant’è che pare abbia chiesto dove fossero finiti tutti quei rivoluzionari di cui tanto si parlava.
A Marsala, anzi, pare che in tanti, nel timore di saccheggi, si affrettarono a mettere davanti la porta di casa una iscrizione che avvisava di come, in quella casa, vivessero inglesi.
I primi risultati non furono entusiasmanti!
Ma, fortunatamente, il 20 maggio 1860 arrivò a Palermo la maestosa nave Hannibal, dotata di 91 cannoni, al comando del contrammiraglio Mundy.
Si dice …, … pare …, … si narra che, a bordo della Hannibal, ci siano stati strani e risolutivi incontri col generale duosiciliano Ferdinando Lanza, oramai ultrasettantenne, obeso al punto di non poter montare a cavallo, … decisamente incline al tradimento …
A fianco dei prodi garibaldini, poi, oltre ventimila “disertori” piemontesi guidati da ufficiali piemontesi e inglesi e, soprattutto, migliaia di mercenari ungheresi al soldo degli inglesi, ben addestrati e persino crudeli, che furono determinanti in più di un’occasione.
Tra gli ufficiali, il generale di divisione István Türr, in seguito nominato governatore di Napoli, e Lajos Tukory, che comandò l’attacco alla città di Palermo, il 27 maggio del 1860, ove trovò la morte. Alla sua memoria sono dedicati, a Palermo, Corso Tukory e una caserma dell’esercito, in Corso Calatafimi.
Tra gli atti emanati dal governo dittatoriale e prodittatoriale di Giuseppe Garibaldi, in Sicilia, il decreto numero 100 del 16 luglio del 1860 autorizzava la costituzione di una Legione ungherese, attiva sino al 1867, che si sarebbe particolarmente distinta nelle atrocità commesse durante l’invasione del Sud.
Il 6 luglio del 1861, a Montefalcione, in provincia di Avellino, prese l’avvio un’insurrezione popolare in chiave antipiemontese, che si propagò ai centri vicini.
Gli scontri culminarono, il 9 luglio, in una strage di civili nella vicina Montemiletto, ad opera di contingenti della Legione ungherese e del Regio Esercito italiano. Tra le vittime, Giuseppe D’Amore, tredici anni.
Il giorno successivo, un altro centinaio di civili fu giustiziato a Montefalcione.
Il 28 luglio del 1861, si era riunito ad Auletta, piccolo centro del salernitano, un nutrito gruppo di rivoltosi, contadini, soldati del disciolto esercito borbonico, gente delusa dai garibaldini e dai piemontesi.
L’esercito sabaudo intervenne con un contingente di bersaglieri, affiancato da una squadra della Legione ungherese. Messi in fuga i ribelli, nella mattinata del 30 luglio, i militari si accanirono sui civili, con saccheggi e stupri, nei quali pare si siano distinti soprattutto i mercenari ungheresi!
Un centinaio le vittime. Tra di essi, il parroco settantenne Giuseppe Pucciarelli, massacrato con il calcio di un fucile.
Il 14 agosto 1861, come atto di rappresaglia per l’uccisione di 41 soldati sabaudi, civili innocenti vennero giustiziati nel cosiddetto (e dimenticato, nei libri di storia) massacro di Pontelandolfo e Casalduni. Non se ne conosce il numero esatto, ma le stime più attendibili oscillano tra quattrocento e un migliaio.
Dalla testimonianza di un soldato, … «Al mattino del giorno 14 ricevemmo l’ordine di entrare nel paese, fucilare gli abitanti, meno i figli, le donne e gli infermi, e incendiarlo. Subito abbiamo cominciato a fucilare … quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l’incendio al paese, di circa 4.500 abitanti. Quale desolazione … non si poteva stare d’intorno per il gran calore; e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava».
Molte le donne stuprate, prima di essere uccise.
Il giorno dopo, il colonnello Pier Eleonoro Negri così riferiva telegraficamente al generale Cialdini: «Ieri mattina all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora».
La storia ufficiale, invece, parla ancora di un migliaio di avventurose e valorose camicie rosse, comandate da un affascinante generale biondo, sul suo bianco destriero!