(adattato dal vecchio blog Sikeloi.net, 2014)
La presenza araba in Sicilia ebbe inizio con lo sbarco a Mazara del Vallo, nell’827, culminò con la caduta di Taormina, ultima importante roccaforte bizantina, nel 902, si concluse con la presa di Palermo da parte dei Normanni, nel 1072, e con la definitiva caduta di Noto, nel 1091.
Sotto gli arabi, la Sicilia visse un lungo periodo di pace e di rinascita economica e culturale, si affermarono nuove tecniche e colture agricole, con l’abbandono della tradizionale monocoltura del grano e l’introduzione del riso e degli agrumi, l’isola divenne il centro degli scambi commerciali nel Mediterraneo …
Eppure, la gran parte dei documenti arabi è andata perduta e le uniche fonti sono cronache e testi letterari di epoca successiva.
Della stessa architettura, del resto, ben poco rimane, sia per la maggiore predisposizione dei musulmani a riadattare e riutilizzare edifici e strutture preesistenti, sia per l’opera di cancellazione attuata a partire dal periodo angioino. Tracce rimangono, semmai, in manufatti di epoca normanna, grazie all’utilizzo di manodopera araba: il Palazzo della Zisa (da al-Aziz, splendido, magnifico), il Castello della Cuba (da qubba, cupola), la Cappella Palatina, il Parco Reale della Favara (da fawwara, sorgente).
Appare quasi paradossale, quindi, che solamente verso la fine del Settecento si sia risvegliata la curiosità verso un’epoca di fatto fondamentale nella storia della Sicilia.
Per merito, altrettanto paradossalmente, di quell’arabica impostura, come la definì lo storico e fisico palermitano Domenico Scinà, della minsogna saracina cantata da Giovanni Meli, architettata dall’abate gerosolimitano Giuseppe Vella, nativo di Malta … e passato alla storia come noto falsario!
Michele Amari, il primo, grande studioso della Sicilia musulmana e medioevale, arrivò a definirlo «digiuno d’ogni erudizione, ma furbo, baldanzoso, sfacciato, ciarlatano»!
Nel 1782, in carica il viceré Domenico Caracciolo, Vella era cappellano del monastero di San Martino delle Scale, a Monreale.
Il 17 dicembre di quell’anno, per sfuggire al mare in burrasca, nel porto di Palermo approdò l’ambasciatore del Marocco.
Grazie alla sua lingua madre, una sorta di arabo-siciliano, e a qualche conoscenza d’arabo, l’abate Vella si improvvisò interprete!
Partito l’ambasciatore e appurato che nessuno, in città, conosceva di fatto l’arabo, mise in atto la sua … impostura!
Sosterrà, dapprima, come un manoscritto arabo, conservato nel monastero e in realtà sulla vita di Maometto, contenesse il registro della cancelleria araba in Sicilia! Inventando date e contenuti, egli scrisse di sana pianta Il Consiglio di Sicilia, un’immaginaria e fantasiosa ricostruzione della Sicilia araba, con il celato obiettivo di guadagnarsi prestigio e privilegi, tanto da ottenere, nel 1785, la cattedra di lingua araba all’Università di Palermo!
Non contento, fece seguire Il Consiglio d’Egitto, che avrebbe dato spunto a Leonardo Sciascia per l’omonimo romanzo storico del 1963 e col quale l’abate Vella, in una sorta di cerchiobottismo, intendeva togliere legittimità ai baroni siciliani, in favore del viceré riformista Domenico Caracciolo!
Come ricordato dallo stesso Sciascia, tra i primi a dubitare della veridicità dei codici “scoperti” e “tradotti” dal Vella, l’avvocato Francesco Paolo Di Blasi, intellettuale, studioso, autore di pubblicazioni storico-giuridiche di altissimo livello, esponente di quel nazionalismo siciliano che aveva fatto proprie le idee illuministe e i principi politici cui si era ispirata la rivoluzione francese. Condannato a morte, morirà a Palermo il 20 maggio del 1795, appena quarantenne, decapitato nel piano di Santa Teresa, oggi Piazza Indipendenza.
Vigorose, poi, furono le accuse di falsità mosse all’abate Vella da parte del canonico Rosario Gregorio, storico e arabista, nonché maestro di quel Domenico Scinà che, come detto, avrebbe ribattezzato l’opera del Vella una arabica impostura!
La questione fu definitivamente chiarita con il coinvolgimento dell’illustre storico e arabista austriaco Joseph Hager!
L’abate Vella fu processato e condannato a quindici anni di reclusione, pena successivamente commutata in arresti domiciliari, che egli trascorse nella sua proprietà di Mezzomonreale, dove morirà nel maggio del 1814 o del 1815.
Se paradossale era stata la cancellazione, per secoli, di un’epoca, quella araba, fondamentale nella storia della Sicilia, … se altrettanto paradossale fu la circostanza per cui ci volle un falso storico di portata inaudita per riportarla alla luce della memoria, … l’epilogo “ultimo” (mi si perdoni la ridondanza) di tutta la storia non poteva che essere … paradossale!
Percorrendo Corso Vittorio Emanuele, a Palermo, tra Via Maqueda e Via Roma ci si imbatte nella chiesa barocca di San Matteo Apostolo e Mattia, i cui lavori iniziarono nel 1633 e terminarono nel 1664.
In una delle cappelle che la caratterizzano, riposano in pace, … vicini come fratelli, … l’uno individuato da una piccola lapide, l’altro da un busto in marmo, … l’abate Giuseppe Vella e il suo grande accusatore, il canonico Rosario Gregorio!