Correva l’anno 1944, il diciannove del mese di ottobre, ottantatré anni, sette mesi e due giorni dalla proclamazione del regno d’Italia e dalla “liberazione” della Sicilia!
La strage di Via Maqueda, comunemente nota come la strage del pane, perlomeno tra coloro che hanno a cuore, o anche solo il piacere di conoscere la storia vera della Sicilia, senza storpiature o tagli ad arte, si consumò nel giro di pochi minuti davanti a Palazzo Comitini, oggi sede della Città Metropolitana di Palermo, allora della Prefettura.
Una folla esasperata e affamata, cittadini di ogni ceto sociale e rango, tanti giovani e studenti, bambini e anziani, si era radunata per chiedere pane e beni di prima necessità e per denunciare l’esistenza di un mercato nero in mano a speculatori. Una manifestazione pacifica, popolare e dalla forte impronta sicilianista.
Va ricordato, infatti, a maggior ragione trattandosi di una di quelle circostanze volutamente trascurate o cancellate, che la stragrande maggioranza dei Siciliani si dichiarava indipendentista e si batteva per alcuni diritti fondamentali negati nel 1860, quali il diritto all’indipendenza e alla sovranità della Sicilia. Negli anni quaranta del Novecento, il Movimento Indipendentista guidato da Andrea Finocchiaro Aprile arrivò a vantare circa cinquecentomila iscritti, su una popolazione di quattro milioni di abitanti. Come se oggi, in Italia, un partito potesse vantare sette, otto milioni di iscritti. Parliamo dei soli iscritti al partito, non della totalità dei suoi elettori!
In assenza del prefetto, il suo vice Giuseppe Pampillonia, preoccupato e forse impaurito, non trovò di meglio da fare che allertare il comando militare. Una cinquantina di soldati della Divisione fanteria Sabauda, da poche settimane Divisione sicurezza interna Sabauda con funzioni anche di ordine pubblico, prontamente intervenuti, armati di fucili e bombe a mano, a loro volta non trovarono di meglio da fare che sparare ad altezza d’uomo e lanciare bombe a mano sulla folla.
Oltre ad almeno 158 feriti, stando alle fonti ufficiali, si contarono 24 caduti:
Giuseppe Balistreri, di anni 16
Vincenzo Puccio, di anni 22
Vincenzo Cacciatore, di anni 38
Domenico Cordone, di anni 16
Rosario Corsaro, di anni 30
Michele Damiano, di anni 12
Natale D’Atria, di anni 28
Andrea Di Gregorio, di anni 16
Giuseppe Ferrante, di anni 12
Vincenzo Galatà, di anni 19
Carmelo Gandolfo, di anni 25
Francesco Giannotta, di anni 22
Salvatore Grifati, di anni 9
Eugenio Lanzarone, di anni 20
Gioacchino La Spia, di anni 17
Rosario Lo Verde, di anni 17
Giuseppe Maligno, di anni 22
Erasmo Midolo, di anni 19
Andrea Oliveri, di anni 16
Salvatore Orlando, di anni 17
Cristina Parrinello, di anni 61
Anna Pecoraro, di anni 37
Giacomo Venturelli, di anni 70
Aldo Volpes, di anni 23
Altre due vittime, Cataldo Natale, di anni 35, e Carlo Monti, di anni 34, non risultano nel conteggio ufficiale per decisione del tribunale militare di Taranto (coinvolto per legittima suspicione) che, a febbraio del 1947, non riconobbe vi fossero prove sufficienti del loro coinvolgimento! Nella stessa sentenza e dopo un processo durato ben … due giorni (!!!), le accuse verso i militari furono derubricate a “eccesso colposo di legittima difesa”, non dovendosi comunque procedere per intervenuta amnistia!
Subito dopo il massacro, furono chiamati i vigili del fuoco, allora detti pompieri, per lavare dal sangue Via Maqueda e le traverse vicine.
Furono vietate fotografie e si intraprese immediatamente la strada del silenzio e della disinformazione.
Anche a seguito di questi drammatici eventi, di lì a poco molti giovani avrebbero aderito all’EVIS, l’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia guidato da Antonio Canepa, il comandante Mario Turri, giovanissimo professore di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Catania.
Da quel giorno e per cinquant’anni, sulla strage del pane è stato imposto il silenzio!
Solamente nel 1994, in occasione del suo cinquantesimo anniversario e per iniziativa della Giunta provinciale di Palermo presieduta da Francesco Musotto, una lapide in memoria dei caduti venne posta all’interno di Palazzo Comitini.
Nel 1995, poi, Giovanni Pala, ex militare della Divisione Sabauda, intervistato dal giornalista Giorgio Frasca Polara, ebbe modo di ammettere che «… quando arrivammo vidi perfettamente che non era in corso alcun assalto. Quando la nostra colonna raggiunse alle spalle la folla il tenente Lo Sardo diede ordine di scendere dai mezzi e di caricare i fucili. Tutto accadde in pochi istanti. I soldati che erano in testa al convoglio cominciarono a sparare ad altezza d’uomo e a scagliare le bombe. Fu il terrore. La gente scappava da tutte le parti lasciando sulla strada morti e feriti. Una scena bestiale».
Questa è la storia!
Per il resto, ognuno di noi è sufficientemente capace di comprendere, intendere e interpretare.
A N T U D U !
(alla siciliana, come mi hanno insegnato Pippo Scianò e Corrado Mirto, con la U finale al posto della O, espressione formalmente inesatta ma più vera e vicina al modo di esprimersi di un popolo fiero nei secoli, ma forse un po’ digiuno di Latino!)