Nell’avventura di Sikeloi, iniziata oltre un decennio fa, mi accorgo che mai un rigo è stato dedicato a Giovanni Battista Hodierna (il cui vero cognome era Dierna), nato il 13 aprile del 1597 a Ragusa da umile famiglia, la cui erudizione e il cui talento avrebbero meritato e meriterebbero ben altra attenzione.
Forse quello stesso isolamento in cui egli si sentì relegato, nei lunghi anni a Palma di Montechiaro, hanno rappresentato un freno al giusto riconoscimento che avrebbe universalmente meritato.
«Socium non habeo, vel amicum, aut propinquum, quo paululum sublevari possim. Mens mea praeceptor meus, et difficultates meas nulli communico», «Non ho alcun compagno, amico o parente, da cui possa essere un po’ sollevato. La mia mente è il mio precettore e a nessuno comunico le mie difficoltà», scriveva amaramente nel De admirandis phasibus in Sole et Luna visis, ponderations opticae, physicae, et astronomicae.
Poco si sa dei suoi studi giovanili, ma è certo che ebbe una fortissima attrazione per gli studi astronomici. Poco più che ventenne e con rudimentali strumenti, conduceva già le sue prime osservazioni dal campanile della Chiesa di San Nicolò di Mira, di probabile epoca bizantina e la più antica di Ragusa, sui cui resti venne successivamente edificato, nel diciottesimo secolo, il Duomo di San Giorgio, vicino alla sua abitazione che pare fosse nella zona dell’odierna Salita Specula.
Tra il 1618 e il 1619, riuscì addirittura a osservare le tre comete che, tra il 1623 e il 1624, avrebbero portato alla pubblicazione de Il Saggiatore di Galileo Galilei.
Nel 1619, il gesuita e matematico Orazio Grassi aveva sostenuto, nel suo De tribus cometis anni MDCXVIII disputatio astronomica publice habita in Collegio Romano Societatis Iesu, che le comete fossero corpi celesti privi di luce propria, lungo orbite circolari tra Luna e Sole.
La replica di Galileo, seppure rivelatasi poi non del tutto esatta, smonterà le teorie del Grassi, ancora fondate sul principio d’autorità, ipse dixit, e avrà soprattutto il merito di affermare quello che diventerà comunemente noto come metodo scientifico o sperimentale, secondo cui non conta tanto il sapere nozionistico, quanto la verifica empirica delle ipotesi formulate.
Ordinato sacerdote nel 1622, trascorse alcuni anni a Roma, dove venne in contatto con membri dell’Accademia dei Lincei, il cui nome intendeva rifarsi all’acutezza visiva della lince, fondata nel 1603 da Federico Cesi, appassionato studioso di scienze naturali, Francesco Stelluti, Anastasio De Filiis e dall’olandese Johannes Van Heeck.
Rientrato a Ragusa, dal 1625 al 1636 si dedicò al sacerdozio, sia in chiese che presso le famiglie nobili della città, in particolare i Tomasi di Lampedusa, il cui capostipite Mario era giunto in Sicilia nel 1577, al seguito del viceré Marcantonio II Colonna che lo avrebbe inviato a combattere il brigantaggio nelle zone rurali tra Agrigento e Licata, in operazioni che lo avrebbero visto protagonista di assedi a paesi, requisizioni di beni, arresti e condanne senza processo.
L’opera più importante di questo periodo fu Il Nunzio del Secolo Cristallino del 1628, rimasto inedito fino al 1902, si presume per timore dell’Inquisizione. Di natura prettamente filosofica, egli vi esalta l’uomo del suo tempo, l’uomo oggidiano, da oggi, hodie in latino, alla base della trasformazione del suo stesso cognome in Hodierna.
Egli è anche noto, erroneamente, per essere stato il fondatore di Palma di Montechiaro. In realtà, nel 1637, Hodierna si era aggregato alla carovana di coloni partiti da Ragusa al seguito di Carlo Tomasi prima e del fratello Giulio poi, figli di Ferdinando e nipoti del capostipite Mario, per fondare la città di Palma di Montechiaro su un colle lungo il litorale agrigentino, la cui prima pietra sarà posta il 3 maggio di quello stesso anno.
In particolare, Carlo, dal 1639 Duca di Palma, a gennaio del 1637 aveva ottenuto da Filippo il Grande, re di Spagna come Filippo IV e di Sicilia come Filippo III, la cosiddetta licentia populandi, una concessione in favore di baroni o feudatari, cui dava il privilegio di popolare un feudo e di costruire nuovi paesi, in base a quel privilegium aedificandi che era esso stesso parte della licentia. Profondamente religioso e di salute precaria, nel 1640 entrò nell’Ordine dei Chierici Regolari Teatini, lasciando il ducato al fratello Giulio, anche Barone di Montechiaro e, successivamente, Principe di Lampedusa.
È vero, invece, che Palma di Montechiaro sarebbe stato in seguito l’unico centro della Sicilia in cui cercare e ritrovare i veri ragusani, o i loro diretti discendenti. La città di Ragusa, nella quale oltre la metà dei suoi diecimila abitanti morirono a seguito della catastrofica sequenza sismica che, tra il 9 e l’11 gennaio del 1693 devastò la Sicilia sudorientale, sarebbe stata ricostruita più a monte e ripopolata grazie all’arrivo di colonie provenienti soprattutto dalla Calabria, come testimoniano anche odierni cognomi, quali Calabrese, Cosentini, Cusenza.
Nei ventitré anni trascorsi a Palma di Montechiaro fino alla sua morte, il 6 aprile del 1660, Hodierna continuò i suoi studi di astronomia, ma si interessò anche di meteorologia, ottica, fisica, matematica, biologia. Tra i tanti, famoso è il suo L’Occhio della Mosca, discorso fisico intorno all’anatomia dell’Occhio in tutti gl’Animali Anulosi, detti Insetti, recentemente scoverta, e pratticata, tra i primi esempi di studi naturalistici condotti col microscopio.
Praticamente ignorato per circa tre secoli, la figura di Hodierna ha iniziato a essere recuperata e riscoperta a partire dalla seconda metà del Novecento, col riconoscimento anche della paternità, inizialmente attribuita ad altri, della scoperta di vari corpi celesti tra i quali, nel 1654, l’ammasso M47 e la Galassia del Triangolo.
Mi piace concludere esaltando la grandezza di Hodierna studioso e pensatore, come emerge anche dalle sue riflessioni cosmologiche riportate al paragrafo II. del Corollarium al De Systemate Orbis Cometici; deque Admirandis Coeli Characteribus:
«Unde fieri contixit, ut adeò incompositè per universum Aether Stellae circunsertae appareant, ut nullus in eis ordinis concentus circumspectari possit, quin potius maiores cum minoribus tumultuosè in varias congeries, & catervas ad invicem coire videntur? An quia fortasse oculus noster extra illarum seriem constitutus, optica ratio non finit ordinationem illoru inspicere, vel quia series divine ordinationis, ab humana ordinatione valde longè abesse oportet interea Stellae eminentissimi firmamenti nequaquam in eade spherae superficie nobis concentrica, sed per diversas Aetheris profunditates circumferuatdr: unde sicuti Stellaru errantium, quarum ad Solem sphericitates, ac motus coordinanrur, Circuitus, Revolutiones, & Progressus, nobis Terricolis inordinatissimi apparent, ita & Stellarum inerrantium inordinata series videtur, quatenus fortasse ad talium universi centrum coordinatur, quàm ad Terrae centrum.»
«Per cui, come accade che a tal punto le stelle appaiono sparse disordinatamente per tutto l’etere, che nessuna armonia possa osservarsi nella loro disposizione, anzi le più grandi sembrano trovarsi caoticamente insieme alle più piccole in varie aggregazioni e accumuli? Forse perché, dato che il nostro occhio è collocato fuori dalla loro aggregazione, la nostra capacità visiva non riesce a percepire il loro ordine, o perché l’aggregazione dell’ordine divino è inevitabile che sia di gran lunga diversa da quella umana, così che le stelle dell’immenso cielo non si trovano nella medesima superficie di una sfera centrata su di noi, ma sono poste a diverse distanze nell’etere: per cui, come a noi sulla Terra le orbite, le rivoluzioni, gli avanzamenti dei pianeti, la cui sfericità e il movimento sono coordinati al Sole, appaiono disordinatissimi, così l’aggregazione delle stelle fisse sembra disordinata, dato che probabilmente sono coordinate al centro dell’universo piuttosto che intorno al centro della Terra.»