Tra le tante cose inutili e qualche pezzo carino, qualche ricordo che valeva la pena non perdere, o il richiamo a fatti e personaggi storici che ritenevo significativi, nel vecchio blog Sikeloi avevo dedicato giusto pochi cenni ad Antonio Canepa.
Frutto, forse, anche dell’impossibilità, o della mia incapacità, nel riuscire a reperire sue opere, se si esclude qualche stralcio “rubato” qua e là in rete. Quasi che qualcheduno ne avesse voluto favorire la cancellazione della stessa memoria!
Sono particolarmente contento, quindi, di aver potuto adesso dedicare un’intera pagina alla sua opera più sentita, contrastata e, dal mio punto di vista, più interessante, il pamphlet La Sicilia ai Siciliani!
Antonio Canepa si laureò in giurisprudenza nel 1930, a ventidue anni.
Attivo antifascista, venne arrestato a seguito del fallito complotto del gruppo cosiddetto dei sanmarinesi, che voleva dimostrare l’esistenza in Italia di forze contrarie al regime fascista.
Internato in manicomio, prima a Roma, poi a Palermo, venne dimesso nel 1935, rinunciando all’aperta opposizione al fascismo e dedicandosi ad attività di ricerca e di studio.
Ricevuto l’incarico per la docenza di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università degli Studi di Catania, assunse il duplice ruolo di professore ubbidiente al regime e di animatore della clandestina opposizione allo stesso, nonché di agente dei servizi segreti britannici.
L’entrata in guerra lo vide già in prima linea nell’attività antifascista. Con lo pseudonimo di Mario Turri, pubblicò, per l’appunto, l’opuscolo La Sicilia ai Siciliani!, in cui spiccava l’amore profondo per la sua terra e il convincimento che l’indipendenza fosse lo strumento indispensabile per il progresso della Sicilia: «la Sicilia si è trovata male sotto qualunque governo che non fosse siciliano. E si è trovata malissimo sotto il governo italiano. E si è trovata ancora peggio, peggio che mai, sotto il governo fascista», «non si può continuare come per il passato. Per noi siciliani è questione di vita o di morte. Separarci o morire».
E, ancora: «Sonnino, che non era né separatista né siciliano, […] ha scritto queste sacrosante parole: “Quel che trovammo nel 1860 dura ancora. La Sicilia lasciata a sé troverebbe il rimedio: stanno a dimostrarlo molti fatti particolari; e ce l’assicurano l’intelligenza e l’energia della sua popolazione e l’immensa ricchezza delle sue risorse. Ma noi italiani delle altre province impediamo che tutto ciò avvenga; abbiamo legalizzato l’oppressione esistente; ed assicuriamo l’impunità all’oppressione!” Se questo poteva scrivere Sonnino, quanto più terribile e amara è la verità! Noi siciliani siamo stati considerati sempre come la feccia dell’umanità, buoni soltanto a pulire gli stivali dei signori venuti dal continente! E non si creda che domani, con un regime migliore, più liberale, più umano, possano accomodarsi i nostri guai! Credere ciò sarebbe un gravissimo errore. Innanzitutto, nessun governo, per generoso che sia, ci restituirà mai (se non costrettovi dalla forza) quel che ci è stato rubato in ottanta anni. […] In secondo luogo, l’incomprensione tra la Sicilia e il continente non deriva dalla cattiva volontà degli uomini. Deriva dalla situazione, per cui sono state unite regioni che dovevano stare separate. Deriva dal contrasto degli interessi. L’industria siciliana danneggerebbe l’industria continentale: questo è certo. La nostra floridezza andrebbe a tutto scapito della floridezza dei nostri sfruttatori. Perciò la Sicilia non può e non potrà mai vivere d’accordo col continente italiano. Soltanto degli ingenui possono sperare in un avvenire migliore, pur persistendo nell’unione con l’Italia. E si illudono che forse qualche siciliano potrebbe andare al governo d’Italia. Sciagurati! Quante volte i siciliani sono andati al governo, da Crispi a Orlando, che bene ne ha veduto mai la Sicilia? Giuseppe Santoro […] ha scritto queste giuste parole: “La circostanza più grave è che la Sicilia è stata maggiormente trascurata da quegli stessi suoi figli che pervennero ai più alti fastigi del potere e del sapere”. Perché? – mi chiedete. Ma per una ragione evidentissima! Il continente è molto più forte della Sicilia. Quindi il governo viene nominato o mandato a casa dal continente. Ora, come potete immaginare che il continente chiami al governo uno che anteponga la Sicilia al continente?»
Antonio Canepa morì nel corso di un conflitto a fuoco coi carabinieri il 17 giugno 1945, in quello che viene ricordato come l’eccidio di Murazzu Ruttu, alle porte di Randazzo. Con lui, caddero Carmelo Rosano, ventidue anni, e Giuseppe Lo Giudice, studente liceale diciottenne, aderenti all’EVIS, l’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia, che egli aveva voluto costituire. Sulle circostanze dell’eccidio, profonde discordanze permangono tra il rapporto ufficiale della prefettura di Catania e i riscontri testimoniali.
Pippo Scianò, riferendosi ‘o cippu ri Murazzu Ruttu e al cimitero di Catania, dove Antonio Canepa, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice riposano lungo il viale dedicato ai siciliani illustri, era solito dirmi: «questi sono i nostri luoghi sacri»!
Non ce lo dovremmo scordare …