Il giorno di Natale del 1130 le Curiae generales, prime assise del Parlamento del Regno di Sicilia riunitesi a Palermo nel Palazzo Reale, o Palazzo dei Normanni, proclamarono Ruggero II primo re di Sicilia, sancendo la nascita del Regno di Sicilia e dando avvio a quei 686 anni d’indipendenza che, tra alterne vicende e fortune, avrebbero caratterizzato la Storia dell’isola fino all’8 dicembre del 1816, data che segnò la nascita del farlocco Regno delle Due Sicilie.
Quello stesso anno, nel quartiere dell’Olivella a Palermo, secondo tradizione dove sorge oggi la Chiesa di Sant’Ignazio, nacque Rosalia Sinibaldi, figlia di Sinibaldo, signore della Quisquina e di Monte delle Rose, e di Maria Guiscardi, nipote di re Ruggero II.
Si narra anzi che proprio il re, due anni prima della sua nascita, avrebbe avuto una visione premonitrice … «Ruggero, io ti annuncio che, per volere di Dio, nascerà nella casa di Sinibaldo, tuo congiunto, una rosa senza spine». Alla nascita, pertanto, la bambina sarebbe stata chiamata Rosalia da rosa e lilium, rosa e giglio.
Cresciuta tra agi e ricchezze presso la corte reale, a diciannove anni, per la sua bellezza e il suo garbo, Rosalia fu damigella d’onore della seconda moglie di Ruggero, Sibilla di Borgogna, sposata dopo quattordici anni di vedovanza.
Ma già intorno ai quindici anni d’età, nel suo intimo, in un’epoca caratterizzata da grande spiritualità e dalla rinascita del monachesimo dopo la lunga parentesi della dominazione araba, Rosalia aveva deciso di dedicare la propria vita a Gesù.
Così, allorché venne promessa in sposa al conte Baldovino, quale atto di riconoscenza per avere salvato il re dall’attacco di un feroce animale selvatico durante una battuta di caccia, Rosalia si rifiutò, manifestando al padre l’intenzione di dedicarsi alla vita consacrata. Abbandonata la casa paterna, si ritirò quindi presso il Monastero delle Suore Basiliane, oggi Chiesa del Santissimo Salvatore.
Successivamente, forse per sfuggire alle insistenti pressioni della famiglia e dello stesso spasimante, si rifugiò nella tenuta della Quisquina, che probabilmente conosceva bene, all’interno di una grotta nel Monte delle Rose.
Ho avuto di recente la ventura, la fortuna, il privilegio di entrarvi, provando l’unica sensazione, comune a tanti, di restare senza fiato e senza parole!
Una fessura appena, un taglio, … uno “sbaglio” nella compattezza della roccia cui segue, curvando appena verso destra, un cunicolo, un minuscolo passaggio che può essere attraversato solo chinandosi e rannicchiandosi, … e poi un altro ancora, … fino a un piccolo ambiente dove Rosalia visse per dodici anni, presumibilmente tra il 1150 e il 1162, nutrendosi forse di bacche e poco altro, cercando di difendersi dal freddo e da un’umidità dirompente!
Ne attesta la presenza in questo luogo un’epigrafe da lei stessa incisa vicino all’ingresso, prima del ritorno a Palermo, e rinvenuta soltanto cinque secoli dopo, il 24 agosto del 1624, da due muratori che lavoravano alla costruzione del convento di San Domenico:
«Ego Rosalia Sinibaldi Quisquinae et Rosarum domini filia amore Domini mei Jesu Christi in hoc antro habitari decrevi»
(Io Rosalia Sinibaldi, figlia del signore della Quisquina e del Monte delle Rose, per amore del mio Signore Gesù Cristo, ho deciso di abitare in questa grotta).
Verso la fine del XVII secolo, un ricco mercante genovese, Francesco Scassi, venuto a conoscenza della storia, decise di venire a ritirarsi in questi stessi luoghi, fondando una congregazione di frati laici devoti a Santa Rosalia e dando avvio alla costruzione dell’Eremo di Santa Rosalia alla Quisquina, che sarà portato avanti dai Ventimiglia, baroni di Santo Stefano, nonché grazie alle generose donazioni che proseguiranno per tutto il Settecento. L’ultimo eremita ad aver vissuto in solitudine nell’Eremo fu Fra Vicè, al secolo Filippo Cacciatore, analfabeta, morto ultranovantenne intorno alla metà degli anni Ottanta.
Il ritorno di Rosalia a Palermo, dunque, presumibilmente nel 1162!
La gran parte delle fonti riferisce che sarebbe stata la stessa regina Sibilla ad acconsentire al suo rientro e a concederle una grotta sul Monte Pellegrino.
Reputo questa ricostruzione storica, però, viziata da grossolani errori cronologici, verosimile frutto di una tradizione tramandata senza troppo curarsi della benché minima analisi critica.
Sibilla di Borgogna, infatti, era morta il 19 settembre del 1151, ben undici anni prima del rientro di Rosalia a Palermo. Nel 1162, tra l’altro, Ruggero II non era nemmeno più re di Sicilia, essendo anch’egli deceduto il 26 febbraio del 1154.
Fino al 7 maggio del 1166, gli succedette Guglielmo, il quarto figlio avuto dalla prima moglie Elvira di Castiglia, re di Sicilia come Guglielmo I, detto il Malo. Consorte era Margherita di Navarra, successivamente reggente, dal 1166 al 1171, per conto del figlio Guglielmo II, detto il Buono. Dovrebbe essere lei, semmai, la sovrana che avrebbe acconsentito al suo rientro.
Altre fonti, che si rifanno a ricostruzioni più semplici e lineari e, proprio per questo, a mio parere più credibili, sostengono che Rosalia semplicemente rientrò, dopo anni di lontananza e di sua iniziativa, a Palermo. Ritiratasi nella grotta sul Monte Pellegrino, vi avrebbe vissuto da eremita per altri otto anni, fino al 4 settembre del 1170, allorché morirà, a soli 40 anni, nel sonno e in solitudine. Ma in pace!
Del culto di Rosalia si hanno notizie già a partire dal 1196, per poi progressivamente assopirsi.
Il 15 luglio del 1624, a oltre quattro secoli e mezzo dalla sua morte, le ossa ben conservate di Rosalia vennero ritrovate inglobate nella roccia all’interno della grotta sul Monte Pellegrino, nel punto esatto indicato da Geronima intesa La Gattuta, donna di Ciminna, vicino Palermo, miracolosamente guarita dopo una visione della Santuzza!
Nel 1625, poi, Rosalia liberò Palermo dalla peste arrivata con l’attracco, il 7 maggio del 1624, di un vascello della Santa Casa della Redenzione dei Cattivi proveniente da Tunisi e rapidamente diffusasi in città e nei dintorni. Dopo una solenne processione, il 9 giugno, con le sue reliquie portate in giro per la città e in cui tradizione vuole sia avvenuto quello che è conosciuto come il “miracolo laico”, con le pustole maleodoranti dei malati che si spaccavano alla pubblica vista e venivano sostituite da pelle nuova e sana, l’epidemia venne considerata come definitivamente debellata il 15 luglio, a un anno esatto dal ritrovamento delle ossa.
Ma questa è un’altra storia!